Capitano mio Capitano, alza quella coppa, alzala alta.Ora non puoi vedere cosa c’è dentro, ma io lo so. Ci sono i 152.000 “suicidi” nella palestra della Stella Azzurra, le grida di Germano, i sacrifici, le rinuncie, le lacrime tue e nostre, le incomprensioni passate e recenti (tra cui diversi giornalisti di testate locali che ti mettono sempre uno o due punti di meno, visto che aspirano ad un 4 americano per una Virtus vincente – consiglierei Leday, annientato in quattro set -).
Ma che ne sanno loro di cos’è un Capitano? Uno che difende anche per chi non lo fa, che fa sempre il taglia fuori per far prendere i rimbalzi ai compagni, che va a bloccare su tutti, che rinuncia ad un tiro per far brillare il compagno, che in ogni gesto, in partita come nello spogliatoio o in allenamento, distribuisce energia, positività, unità, solidarietà di squadra, spesso rinunciando ai propri spazi, conquistati proprio con quei sacrifici? Già, che ne sanno? Eppure in quella coppa ci sono tante cose belle: l’amore sconfinato dei tuoi genitori, di Silvia, di tuo fratello e tua sorella, delle due famiglie di origine, di cui sei fantastica sintesi, dei tuoi e dei nostri amici. Ci sono la stima e l’affetto di tanti compagni di squadra e di tanti allenatori, non tutti certo, ma tanti per cui sei diventato amico vero. C’è il cammino universitario, anch’esso pieno di sacrifici e difficoltà, ma anche di soddisfazione e di gioia. C’è un po’ di Africa, un po’ di Roma, tanto di Casalpusterlengo, di Tortona, di Verona, di Cremona, tanta Bologna e tanta Chieti, in cui tutti dicono di ammirarti. Ci sono le oltre 1000 pizze non mangiate, i 10.000 pranzi e cene dietetici, le birre non bevute, le gite e le vacanze non fatte, le rinuncie di tutti i tipi.Allora tienila alta, quella coppa, perché anche se è solo una coppa con una medaglia, dentro c’è la tua vita, che, converrai con me, è valsa la pena vivere così fino ad oggi. Certo, ma veramente certo che il meglio deve ancora arrivare.
Capitano mio Capitano.
Papà.